Sono noti a tutti i fatti accaduti in Iran, scatenati dalla morte della 22enne curda Mahsa Amini, fermata dalla polizia morale, la Ershad, perché non indossava correttamente il velo. Per protesta, centinaia di ragazze sono scese in strada, scoprendosi i capelli e in alcuni casi bruciando l’hijab. Le manifestazioni si sono progressivamente allargate a diverse città del Paese, in un’inedita alleanza tra uomini e donne, studenti e lavoratori, al grido di “Donne, vita, libertà”, chiedendo la fine della Repubblica islamica e l’instaurazione di uno Stato democratico. In alcune città del Nord Ovest, come a Teheran, i manifestanti hanno bruciato le immagini del leader Khamenei, e dato alle fiamme le auto della polizia. La repressione è stata brutale, contando almeno 50 morti secondo fonti non governative. Tra le vittime molte ragazze, come Hananeh Kia, 23 anni, colpita da un proiettile a Noshahr, nel nord, o Ghazale Chelavi, 32 anni, di Amo, appassionata escursionista che non aveva un passato di attivismo politico. Centinaia di persone sono state arrestate, 1.200 sono state identificate; numerosi studenti sono stati prelevati in casa e arrestati; almeno 17 giornalisti sono stati incarcerati. Tra le vittime, Hadis Najafi: capelli biondi, niente velo, di appena 20 anni, uccisa dalle forze di sicurezza iraniane durante le proteste a Karaj, vicino a Teheran, è diventata un simbolo per il gesto di raccogliere in una coda i lunghi capelli biondi con un elastico. Secondo numerosi resoconti giornalistici, è stata uccisa con sei colpi di pistola, al petto, al viso, al collo. Avrebbe compiuto 24 anni tra un mese. Ebbene: il suo gesto ha assunto, entro i confini nazionali e in tutto il mondo, il valore simbolico della lotta per la libertà e per i diritti di tutte le donne, specie nei contesti territoriali e politici in cui essi sono più spesso e violentemente negati.
La violazione degli elementari diritti delle donne e delle ragazze – molto vicina anche alla cronaca italiana, se si pensa al caso di Saman Abbas, la ragazza pakistana scomparsa da Novellara vittima dei propri familiari perché si opponeva a un matrimonio imposto – non può e non deve lasciarci indifferenti. Per questo motivo, venerdì 30 settembre si è tenuto presso l’istituto Martinetti di Caluso un flash mob di protesta e sensibilizzazione, cui hanno aderito numerosi studenti e membri del personale scolastico. I partecipanti hanno riprodotto, su di sé e verso le compagne, il gesto di raccogliere i capelli in una coda; anche gli studenti hanno partecipato attivamente, aiutando le studentesse nel farlo, a testimoniare una solidale e rispettosa alleanza reciproca, che ci vede tutti uniti, uomini e donne, nella lotta per l’uguaglianza e il rispetto dei diritti umani.
È stata scelta una modalità informale e vicina alle più giovani generazioni, che ovviamente non resterà un gesto isolato, ma offrirà l’occasione per riflessioni e approfondimenti di studio in preparazione alla giornata del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Milano K., Savoia S.
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